13 maggio 2008

FESTE ROMANE: LA PENTECOSTE AL PANTHEON

Il tempio originario, uno dei più sorprendenti di Roma e, tra l’altro, il meglio conservato della città, fu fatto edificare da Marco Vipsanio Agrippa, generale – ammiraglio e genero di Augusto, di cui aveva sposato la figlia Giulia, tra il 27 ed il 25 a.C.. La struttura risulta essere praticamente unica al mondo vista l’arditezza tecnica e costruttiva (sarebbe difficilissimo ancora oggi replicarla con tale precisione), oltre ad aver stuzzicato la curiosità di decine di studiosi che nelle sue misure hanno rilevato curiosi riscontri simbolici ed esoterici (si possono notare riscontri particolarissimi legati alla penetrazione della luce dall’Oculus in determinati giorni dell’anno, soprattutto durante i solstizi e gli equinozi).


Scavi effettuati alla fine dell'Ottocento hanno portato alla scoperta dei resti dell'antico edificio: sembra, così, che la prima costruzione del Pantheon fosse un tempio canonico, dedicato a “Venere, Marte ed al Divo Giulio”, di forma rettangolare ed orientato in direzione opposta all'attuale, verso sud. Una seconda fase edificatoria è costituita dai restauri e dagli ampliamenti di Domiziano, dopo l'incendio dell'80 d.C.. La terza fase dell’edificio, quella attuale, può essere datata con esattezza ai primi anni del regno di Adriano, tra il 118 e il 125 d.C., che ne riportò nella fronte l'iscrizione originaria, cosa che falsò la datazione dell'edificio finché gli studi sui bolli laterizi in occasione degli scavi ottocenteschi permisero di ricostruirne l'esatta cronologia. L'iscrizione, che si può ancora oggi leggere sull'architrave,
"M(arcus) Agrippa L(uci) f(ilius) co(n)s(ul) tertium fecit", ossia "Marco Agrippa, figlio di Lucio, durante il suo terzo consolato, fece". La ricostruzione adrianea modificò totalmente l'edificio primitivo: mancando lo spazio davanti all'antica facciata (dove erano la Basilica di Nettuno e le Terme di Agrippa), questa fu ruotata di 180°. L’edificio primitivo è attualmente occupato dal pronao e dal grande portico racchiuso da otto colonne monolitiche di granito con capitelli e basi di marmo bianco. I lavori del tempio furono terminati da Antonino Pio (138-161) mentre nel 202 Settimio Severo e Caracalla effettuarono i primi restauri.


Il monumento restò in abbandono per circa due secoli finché nel 608 fu ceduto dall'imperatore bizantino Foca a papa Bonifacio IV°, che lo dedicò alla Madonna e a tutti i martiri (tanto che venne nominato “Santa Maria ad Martyres”: questa dedica fece circolare la voce, forse a ragione, che nel pavimento fossero stati gettati 28 carri di ossa di martiri tolti alle catacombe. Un aneddoto ulteriore è legato al foro della cupola: si dice che questo era “sigillato” con una grande pigna di bronzo dorato che i diavoli avevano trasportato da Troia a Costantinopoli e, poi, a Roma; quando papa Bonifacio IV° consacrò il tempio trasformandolo in chiesa, i demoni volarono fuori dalla cupola, portandosi dietro la pigna). Nel 663 l'imperatore Costante II° lo spogliò della copertura in bronzo dorato del tetto, che fu rifatto in piombo da Gregorio III° (735). La piazza antistante fu sede di un mercato sin dal Medioevo, quando era ancora sterrata: l'ammasso di detriti lasciati dai banchi provocò un rialzo del terreno rispetto alla basilica, da qui l’aspetto ancora oggi “a conca” della Piazza della Rotonda. Con gli anni il numero delle botteghe aumentò talmente che alcune di esse trovarono posto perfino fra le colonne del portico, danneggiando l'estetica del luogo. Nella prima metà del XV° secolo, papa Eugenio IV° fece collocare al centro della piazza due piccole vasche, affiancate da due leoni di basalto, che furono rimossi poco prima della costruzione della fontana che, nel 1578, Gregorio XIII° commissionò a Giacomo Della Porta. La fontana originaria era composta da una vasca, poggiante su una breve rampa di tre gradini, e l'acqua zampillava da un vaso al centro mentre il tutto era ornato con quattro mascheroni (progettati per ornare la fontana del Nettuno a piazza Navona ma poi mai utilizzati). Nel 1625 Urbano VIII° Barberini fece asportare il rivestimento bronzeo delle travi del portico per farne ottanta cannoni per la difesa di Castel Sant’Angelo e per la realizzazione delle quattro colonne del famoso baldacchino della basilica di San Pietro, ad opera del Bernini; inoltre fece restaurare il frontespizio e vi fece costruire ai lati, dal Bernini, due piccoli campanili, soprannominati popolarmente le "orecchie d'asino": i due campanili vennero successivamente demoliti nel 1883.


Clemente IX° nel 1668 circondò il pronao, formato dalle sedici colonne monolitiche di granito rosa e grigio, con una cancellata per impedire che nel portico potesse essere ulteriormente invaso dai banchi del mercato. Nel 1711 la fontana venne rimaneggiata per volere di Clemente XI°, che fece sostituire la base originale con una gradinata di travertino avente cinque gradini dalla parte della basilica e due dall'altra parte, per superare il dislivello della piazza. Inoltre fece sostituire il vaso centrale con una scogliera che sorregge un piccolo obelisco alto 6,34 metri(rinvenuto nel corso del XIV° secolo ed innalzato presso la vicina chiesa di San Macuto), originariamente appaiato a quello di Villa Celimontana nel Tempio del Sole a Eliopoli, entrambi fatti costruire da Ramsete II° e poi trasferiti a Roma insieme agli obelischi di Piazza della Minerva e di Via delle Terme di Diocleziano. La scogliera rocciosa è ornata da delfini, dalla stella degli Albani (la famiglia papale di Clemente XI°) e dalla Croce. Molto significativo anche l'intervento nel 1823 di Pio VII°, che fece pavimentare la piazza con i tipici "sampietrini" ma soprattutto riuscì ad eliminare le secolari baracche adibite allo smercio di prodotti ittici ed ortofrutticoli. L'edificio ha successivamente assunto carattere "sepolcrale", da quando vi fu sepolto Raffaello: da allora, tutti gli artisti aspirarono ad un simile onore finché, nel 1870, il tempio divenne sacrario dei Re d'Italia: qui sono sepolti Vittorio Emanuele II°, Umberto I° e Margherita di Savoia. Nel 1928 fu tolta la recinzione di sbarre di ferro che circondava la fontana. Proseguendo lungo il fianco sinistro del Pantheon, si nota un muro, porzione superstite dei cosiddetti "Saepta Iulia", un ampio piazzale-porticato di età tardo-repubblicana destinato alle elezioni pubbliche. Addossati alla parte posteriore della "Rotonda" (così viene anche chiamato il Pantheon) si trovano, invece, resti della "Basilica Neptuni", innalzata da Agrippa in contemporanea al Pantheon, ma poi ricostruita da Adriano. La grande aula era coperta da una volta a tre crociere ed era destinata probabilmente ad incontri di affari. La Rotonda poggia su una massiccia base costituita da un anello di calcestruzzo, ed un sistema di volte ed "archi di scarico" articola la struttura: trovata importantissima perchè il tempio sorgeva in un’area acquitrinosa e ad un’altezza inferiore a quella dell’alveo del Tevere, per cui spesso la piazza rimaneva allagata dalle acque del fiume uscite dagli argini. La distanza dal pavimento al sommo della cupola è identica al diametro della cupola stessa: praticamente lo spazio interno è costituito da una sfera perfetta, inserita in un cilindro alto come il raggio di questa. L'interno è dominato dalla cupola, con i suoi 43,30 metri di diametro (il diametro dell’Oculus è invece di 9 metri), mentre nella parte inferiore ventotto cassettoni (o "lacunari") sono sovrapposti in cinque ordini. Dal foro sulla sommità della volta, l'oculus, proviene l'unica luce. Le numerose nicchie che si aprono nelle esedre e le edicole erano occupate da statue di divinità: l'edificio era, infatti, dedicato, come dice il nome e come da tradizione ellenistica, ai 12 Dei ed al sovrano vivente (Pantheon = dal greco pan théon, tutti gli dei). La cupola del Pantheon rende architettonicamente la concezione della “cupola dei cieli” che incontra la terra, ed il raggio di luce che penetra dall’oculus all’interno della struttura è un’allegoria della “luce divina”. Numerose sono le leggende sull'antico tempio: famosa quello che lo vuole custode della "Salvatio Romae": una serie di statue, una per ogni provincia romana, portavano al collo un campanellino il quale suonava se la provincia corrispondente si ribellava. Celeberrima anche la leggenda secondo la quale i Romani veneravano nel tempio un dio diverso per ciascun giorno e il dio del Sabato era venerato in compagnia dei diavoli. Una ulteriore curiosità è costituita dal fatto che gli ultimi restauri effettuati sulla calotta esterna della cupola sono stati portati a termine da esperti rocciatori, senza che si sia reso necessario innalzare ponteggi che avrebbero potuto rovinare gli stemmi dei pontefici che, nel corso dei secoli, ne hanno promosso i restauri, e che sono raffigurati sulle lastre di piombo di copertura della cupola stessa. Per i restauri interni, invece, è stata allestita una curiosa “macchina semovente”, molto simile a quella fatta allestire da Michelangelo per affrescare la volta della Cappella Sistina.
Ma veniamo alla curiosità di cui vi volevo parlare: la “Domenica delle Rose”. La caratteristica di questa celebrazione di origine antichissima (si ritiene che tale cerimonia venne celebrata la prima volta addirittura al 13 maggio 609, la Domenica di Pentecoste nella quale la struttura venne dedicata a Santa Maria ad Martyres) che si svolgeva nella domenica di Pentecoste, è che, durante la messa papale, si faceva cadere sui fedeli, dal foro della cupola, una pioggia di petali di rose per ricordare il miracolo della Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo sui discepoli di Gesù.


Pentecoste, dal greco “pentekostè heméra”, cioè "cinquantesimo giorno” (cade infatti il cinquantesimo giorno dal "giorno dopo il sabato di Pasqua”), era una festa della tradizione ebraica e successivamente di quella cristiana. Secondo gli ebrei commemorava il dono della Legge sul monte Sinai e, in quel giorno, non era permesso il lavoro servile; il termine Pentecoste era utilizzato dagli ebrei di lingua greca in riferimento alla festa conosciuta nell'Antico Testamento come "festa della mietitura e delle primizie", "festa delle settimane", e definita più tardi "asereth" o "asartha", cioè "assemblea solenne" e, probabilmente, "festa conclusiva": Pentecoste è la festa per la fine del raccolto e della stagione che segue la Pasqua; gli ebrei moderni passano la vigilia della festa leggendo la Legge o altre Scritture. Nella religione Cristiana, cade nella domenica successiva il cinquantesimo giorno dopo il sabato di Pasqua, ed è quindi una festa mobile, che ha perso il significato ebraico, per celebrare la discesa dello Spirito Santo, che viene visto come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli, e la conseguente nascita della Chiesa. Questa festa conclude le festività del Tempo pasquale. In alcune regioni d’Italia è tradizione far cadere petali di rosa dal soffitto delle chiese, a simbolo delle lingue di fuoco dello Spirito Santo. E', inoltre, consuetudine indossare i paramenti sacri di colore rosso. In Francia era abituale suonare le trombe durante il culto, per ricordare il suono del potente vento che aveva accompagnato la discesa dello Spirito Santo. Durante i Vespri di Pentecoste, nella Chiesa d'Oriente, si formò l'usanza dello speciale rito della genuflessione, accompagnato dalla lunga preghiera e dai salmi. Durante la festa di Pentecoste i Russi portano fiori e rami verdi. In Alto Adige ogni anno, la domenica dopo la Pentecoste si festeggia il "Sacro Cuore", si svolgono processioni religiose con bande musicali e nella serata di Domenica del Sacro Cuore sulle cime dei monti vengono accesi dei fuochi a forma di croci e cuori.
In occasione della funzione religiosa che si tiene nel Pantheon alle 10.30 della Domenica di Pentecoste giungono da Giffoni Valle Piana migliaia di rose a stelo lungo e milioni di petali rossi, che i Vigili del Fuoco provvederanno a far cadere all’interno del tempio dall’Oculus. Quest’antica usanza, sospesa nei secoli scorsi, è stata ripristinata da una decina d’anni grazie a Monsignor Antonio Tedesco, originario di Giffoni ed al tempo responsabile della basilica romana, nonchè all’allora sindaco di Giffoni Ugo Carpinelli, che sottoscrisse con la “Basilica Collegiata Sancta Maria ad Martyres” un impegno perpetuo per la fornitura di rose e petali, provenienti dai vivai della Valle del Picentino. Nei secoli scorsi anche il popolo partecipava alla messa in opera dei festeggiamenti offrendo petali di papavero, più “economici” di quelli di rosa ma egualmente evocativi e suggestivi nella loro discesa. Una particolarità legata alla celebrazione della messa è che questa è prevalentemente cantata e recitata in aramaico (splendido in particolare il Padre Nostro cantato nella lingua originale di Gesù) ed inoltre vengono letti brani dei Vangeli in differenti lingue; alla cerimonia partecipano anche 12 bimbi di etnie diverse che, in segno di pace, regalano rose ai partecipanti: in particolare per l’addobbo vengono utilizzate circa 2000 rose rosse mentre dalla volta vengono fatti cadere circa sette milioni di petali... sinceramente non li ho contati ma erano veramente tanti e l’effetto particolarmente suggestivo e gioioso.

Alcuni momenti della celebrazione
E la pioggia di petali di rosa a fine cerimonia