29 giugno 2007

LE FESTE ROMANE - SAN PIETRO E PAOLO

Prima di tutto c’è da dire che, con molta probabilità, i due apostoli non furono in effetti contemporaneamente martirizzati il 29 giugno del 67 d.C.: questa data è infatti legata, come vedremo, all'antica festività romana del dio Quirino.

Moneta raffigurante il Dio Quirino

Però la solennità dei santi Pietro e Paolo, sepolti nelle omonime basiliche romane, è il più antico esempio di trasfigurazione di una festa romana in festa cristiana. La data è attestata nel più antico calendario liturgico pervenutoci, la “Depositio martyrum filocaliana”, nella quale si fa risalire al 258 la festa celebrata inizialmente al terzo miglio della via Appia. In realtà, come detto, i due apostoli morirono in date e luoghi diversi: Pietro fu crocifisso, con la testa in basso, nello stadio di Caracalla, presso il colle Vaticano, durante la persecuzione neroniana del 64, mentre Paolo fu decapitato nel 67 (essendo cittadino romano non poteva subire la pena, considerata infamante, della crocifissione), sempre sotto Nerone. Anche la data del 29 giugno per Pietro è improbabile perché la persecuzione di Nerone iniziò dopo l'incendio divampato fra il 18 e il 27 luglio: si ritiene che Pietro venne effettivamente giustiziato nel mese di Ottobre del 64 d.C.. Come detto, la festa di San Pietro e San Paolo riprende la festa di Quirino, divinizzazione di Romolo, il fondatore di Roma, e, festeggiando Pietro e Paolo nella stessa data, i cristiani li onoravano come fondatori della vera fede nell'Urbe. Quirino era il dio romano delle curie e delle pacifiche attività degli uomini liberi. Sull'origine del nome c'erano ben tre ipotesi già nell'antichità: il termine si fa risalire alla Curis, l'asta da guerra usata dai Sabini, oppure alla città di Cures, patria di Tito Tazio, che aveva introdotto il culto del dio a Roma o, ancora, una terza teoria collega il nome del dio a quello della popolazione dei Quiriti, l'antico nome di uno dei gruppi fondatori di Roma, precisamente quello dei Sabini, stanziati sul colle Quirinale. Oggi si ritiene più probabile che il nome del dio sia effettivamente derivato da quello della curia e dei Quiriti, col significato di patrono delle curie e degli uomini in esse riuniti. La festività denominata Quirinalia, cadeva il 17 febbraio ed era celebrata dal "Flamen Quirinalis", il terzo dei “flamini maggiori" (il Flamen era il sacerdote dell'antica Roma preposto al culto di una specifica divinità, da cui prendeva il nome e di cui celebrava il rito e le festività. I Flamini erano distinti in Flamines maiores, tre, e in Flamines minores, dodici; ai primi fu successivamente aggiunto un flamen in onore di Giulio Cesare). L'importanza di questa festa era data dal suo valore "civico" e "cosmico" a un tempo: il valore "civico" stava nel fatto che essa sottraeva ad un ordinamento gentilizio la totalità dei cittadini, dando loro la possibilità di configurarsi come tali anziché come membri di una singola curia. Quest'operazione si può inquadrare nel processo che portò gradualmente i romani dalle assemblee curiali alle assemblee popolari. Nel giorno dedicato a Quirino era concesso celebrare il rito della prima torrefazione del farro a coloro che non lo avevano fatto in precedenza, nel giorno prescritto dalla propria curia. In tal modo coloro che, per forza di cose o per propria volontà, si sottraevano all'ordine curiale (e per questo venivano considerati "stolti") rimediavano sul piano religioso, ricorrendo al dio Quirino, la cui festa era detta anche "festa degli stolti" ("stultorum feriae"). Il rito del farro è quello che fornisce il valore "cosmico", segnando la fine del ciclo del vecchio farro e l'inizio del ciclo di quello nuovo. Il più antico santuario di Quirino era sulla rupe più alta del colle Quirinale; in seguito gli fu dedicato un tempio presso la Porta Quirinale e poi un altro nel 293 a.C., nel quale era conservato il trattato fra Roma e Gabii, scritto su una pelle di bue che copriva uno scudo. Questo tempio fu restaurato da Augusto nel 16 a.C. e il giorno della dedica, il 29 giugno, divenne la nuova festa di Quirino. Un “mito” interessa la figura del dio Quirino: quello concernente l’assimilazione di Romolo, fondatore di Roma, al Dio stesso. Quirino, dio sabino, era stato assimilato a Romolo intorno all'inizio del secolo III° a.C., quando le leggende sull'origine di Roma avevano cominciato ad assumere la struttura definitiva. Fin da allora si proposero le due contrastanti versioni di "Quirino-Romolo" e di "Quirino-Sabino", e fin da allora queste due "entità" diedero origine a due orientamenti politico-religiosi legati allo stesso Quirino. Prima dell'intervento dei Giulii, che ufficializzarono l'identificazione Quirino-Romolo, né l'una né l'altra delle concezioni di Quirino era riuscita a sovrastare la rivale. Anche i poeti dell'età augustea preferirono la figura di Quirino-Romolo, come testimoniano Ovidio e più tardi Plutarco. Infatti quest'ultimo narra che dopo la scomparsa di Romolo si era diffusa la voce che il fondatore di Roma fosse stato ucciso dai nobili. Un colono di Alba, di nome Giulio Proculo, si presentò nel Foro e davanti a tutti, disse: "O Romani, lo giuro: mentre venivo qui, Romolo mi è apparso e mi è venuto incontro, bello e grande come mai prima di allora l'avevo visto, rivestito di armi luminose e abbaglianti. Sconvolto dall'apparizione gli domandai: - O re, che fai o hai in animo di fare per lasciare i patrizi esposti ad accuse false e malevoli, e la città tutta immersa in un dolore senza fine per la perdita del suo padre? - Egli mi rispose: - Agli dèi, o Proculo, dai quali provengo, piacque che io rimanessi tra gli uomini soltanto tanto tempo quanto ci fui e che, fondata una città destinata a grande imperio e gloria, di nuovo tornassi in cielo. Ma fatti animo, và a dire ai Romani che se coltiveranno la moderazione e il valore giungeranno al più alto grado di potenza concesso ai mortali. Io sarò il vostro dio protettore, Quirino -".». Fino all'uccisione di Remo, Romolo è un gemello inseparabile dal fratello, come testimonia anche la celebre "Lupa del Campidoglio".

La Lupa del Campidoglio


Sicché la festa del 29 giugno aveva la funzione di celebrare i due gemelli ancora uniti nella fondazione di Roma: a dimostrazione di ciò si può osservare un frammento, oggi conservato nel Museo delle Terme, che rappresenta Romolo e Remo, attorniati da vari personaggi, mentre osservano il volo augurale degli avvoltoi che precedette, secondo la leggenda, la nascita di Roma sul Palatino. I cristiani si ispirarono alla festa per trasfigurarla nella solennità dei due apostoli considerati i fondatori della nuova Roma. Infatti papa Leone Magno, verso la metà del secolo V°, si rivolse in un sermone pronunciato il occasione di questa festa, a Roma personificataricordandole che gli apostoli le avevano portato il Vangelo di Cristo, trasformandola da «maestra di errore» in «discepola di verità». «Quelli sono i santi padri tuoi e i veri pastori che ti fondarono, molto meglio e molto più felicemente di coloro per opera dei quali fu stabilita la prima fondazione delle tue mura», rammentando che Romolo aveva macchiato la nascita della città col sangue fraterno.

San Pietro e San Paolo giunsero a Roma dalla lontana Giudea ma si conserva ancora memoria persino degli esatti luoghi dove abitarono: Pietro nella domus del senatore Pudente, dove oggi sorge la chiesa di Santa Pudenziana, e Paolo sull'Aventino, presso Aquila e Priscilla, dove ora sorge Santa Prisca. Tradizione vuole che, scortati dai rispettivi plotoni ed incrociandosi presso la Piramide di Caio Cestio, si siano scambiati l'ultimo saluto per andare, Pietro ad essere crocifisso a capo sotto presso il Circo di Caligola in Vaticano, e Paolo ad essere decapitato alle Acque Salvie, località sulla via Ostiense segnata poi da tre prodigiose fonti (una calda, una tiepida ed una fredda) sgorgate al rimbalzare della sua testa mozzata.

L'incontro tra San Pietro e San Paolo presso la Piramide Cestia

Per molto tempo l'acqua di queste fonti fu distribuita ai fedeli, in quanto ritenuta miracolosa per varie malattie, ma nel 1950, a causa dell'inquinamento, il flusso venne chiuso. In quello stesso luogo sorge ora l’Abbazia delle Tre Fontane, e tre chiese sono state edificate sulle antiche sorgenti. Un santuario con una necropoli vi sorse fin da tempi antichi, ma il monastero vi fu fondato intorno al 625, ospitando monaci greci, per poi fiorire in età carolingia. Passò poi ai Benedettini, e infine nel 1140 ai Cistercensi, che lo ricostruirono secondo le rigorose norme del loro ordine, completandolo nel 1221. Nel 1600, in vista dell’Anno Santo, furono ricostruite le altre due chiese, ma poi l’intero complesso fu abbandonato a causa dell’imperversare della malaria, fino a che nel 1867-1868 Pio IX° concesse il complesso ai padri Trappisti, che provvidero al restauro degli edifici ed alla bonifica della zona mediante la piantagione di eucalipti, alberi che all’epoca si riteneva fossero di ostacolo al diffondersi del morbo. Dalla via Laurentina parte la via di Acque Salvie, che conduce al cosiddetto arco di Carlo Magno, accesso fortificato al monastero dell’VIII°-IX° secolo, che conserva nell’intradosso dell’arco stesso degli affreschi con Storie di Carlo Magno risalenti al XII° secolo (tradizione vuole che l’imperatore, sulla strada di Roma alla vigilia di Natale dell’800, abbia pernottato qui). La chiesa di San Paolo, è in fondo ad un viale che conserva il basolato romano in alcuni punti ed è una diramazione dell’antica via Laurentina. Nel 1936 gran parte del territorio dell'Abbazia fu espropriato per la realizzazione dell'Esposizione Universale di Roma, denominata E42 perché, su decisione di Mussolini, venne fissata per il 1942, ventennale della marcia su Roma. La guerra bloccò il progetto e le costruzioni ripresero soltanto nel 1951, dando vita ad un nuovo quartiere chiamato EUR (dalla sigla dell'Esposizione Universale di Roma) che divenne sede di uffici, musei e zona residenziale.

San Paolo alle Tre Fontane

Questa chiesa, eretta da Giacomo Della Porta nel 1599-1601, al posto di una precedente del V° secolo, sul sito dove l’apostolo subì il martirio, ha una pianta singolare, che ricalca quella del precedente edificio. Nello spazioso interno "trasversale" si può ammirare un bellissimo mosaico pavimentale policromo, proveniente da Ostia, con le personificazioni delle Quattro stagioni. Nell’angolo destro, dietro una grata, si può ancora oggi vedere la colonna cui San Paolo sarebbe stato legato durante il martirio, mentre nella parete di fondo e nell’abside, su tre livelli, le fontane disegnate dal Della Porta a memoria dell’evento miracoloso.

La colonna del martirio di San Paolo

Fino ai primi decenni del ‘900 il 29 giugno si faceva festa grande, a Roma, con le classiche scampagnate fuori porta: presso le osterie e le fraschette (come abbiamo visto nel post sulla Festa di San Giovanni) si poteva mangiare pagando solo lo "scommido" all’oste e portandosi da casa il "fagotto". San Pietro e San Paolo sono "citati" persino nei giochi dei ragazzini romani dell’800. Alcuni di loro, prendendosi per mano, cantavano: «San Pietro e San Paolo, opritece le porte!». E un'altra coppia di ragazzini, i due capi-gioco sorteggiati, dopo aver deciso, in segreto tra di loro, due parole d'ordine, ed abbinatele sempre in segreto all'Inferno una ed al Paradiso l'altra, presisi anch’essi per le mani ed alzate le braccia ad arco, rispondevano: «Le porte stanno aperte pe’ cchi ce vòle entra’!»; a questa risposta il primo gruppo di ragazzini, sempre tenendosi per mano a catena, doveva passare sotto l’arco correndo: a quello che rimaneva “imprigionato”, quando i due capi-gioco abbassavano le braccia, veniva chiesto quale delle due parole chiave avesse scelto: in base alla risposta veniva fatto mettere in una delle due piazzuole, raffiguranti il Paradiso o l'Inferno e dove, man mano, verranno raggruppati tutti i ragazzi. Quando tutti i ragazzi saranno collocati nelle due piazzole i due capi-gioco sveleranno loro quale sarà il "Paradiso" e quale l'"Inferno"; ovviamente quelli collocati, in base alla parola da loro stessi scelta, nella piazzola dell'Inferno saranno bersagliati dai sberleffi dei vincitori e pagheranno pegno.
Un'antica tradizione dei romani era quella di recarsi di buon
mattino presso i frati Trappisti alle Tre Fontane per gustare una "rosetta", pane tipico di Roma, riempita di cioccolata appena fatta.
Ai secondi vespri, chiamati dai romani familiarmente “vesperoni”, la statua di San Pietro, di Arnolfo di Cambio (nella basilica Vaticana), era vestita con gli abiti solenni del pontefice: l'amitto (un liturgico panno di lino rettangolare da indossare sulla testa), la stola, il piviale (mantello) rosso, la tiara sul capo e l'anello al dito. In sua presenza si benedivano i "pallii", che il giorno dopo sarebbero stati donati dal Papa a patriarchi, vescovi e metropoliti nominati in occasione della ricorrenza.

La statua di San Pietro (con il "piede lucido") di Arnolfo di Cambio

Al tramonto si svolge anche una processione, che ha come particolarità quella di portare una reliquia di San Paolo: la sua catena composta da 14 anelli di ferro, attualmente custodita nella basilica di San Paolo Fuori le Mura (così come la catena di San Pietro è custodita in San Pietro in Vincoli, dove si possono anche ammirare la meravigliosa tomba di Giulio II° ed il Mosè, entrambe opere di Michelangelo).

Il meraviglioso MOSE' di Michelangelo


La tomba di Papa Giulio II° (Giuliano Della Rovere)


Dopo il tramonto la cupola della basilica di San Pietro era illuminata a giorno da decine di fiaccole, mentre su Castel Sant'Angelo venivano fatti esplodere i fuochi d'artificio. Il giorno della festa, le campane svegliavano la cittàe da Napoli giungeva la "chinea", il cavallo bianco, che portava con sè un cesto pieno di 7000 scudi: il tributo angioino, distribuito ad orfani e vedove, poi il Papa passava, benedicente, in corteo per le vie della città. Alla fine si recava alla basilica di San Paolo ed alle Tre Fontane. Tutt'ora, ogni anno, la "consorella" Chiesa di Costantinopoli invia una delegazione a partecipare alla festa dei santi Pietro e Paolo.
Visto che il 29 era però prevalentemente dedicato a San Pietro ed alle funzioni religiose, si decise di onorare San Paolo il 30 Giugno ed era, questa, una giornata esclusivamente dedicata alle scampagnate ed ai festeggiamenti. Caratteristiche irrinunciabili nei due giorni di festa erano giocattolai ambulanti, e soprattutto porchettari: famosa rimane l'insegna «La porchetta de Cadorna, chi la magna ciaritorna», così come "Solo da Pasqualino er cocommero è sopraffino".
La basilica di San Pietro in Vincoli è detta anche Eudossiana, in quanto venne fatta ricostruire per volere di Eudossia, moglie dell'imperatore Valentiniano III°. Secondo la tradizione Eudossia ricevette dalla madre le catene che tennero prigioniero San Paolo a Gerusalemme per donarle a papa Leone Magno, che le accostò a quelle utilizzate per la prigionia di San Pietro nel Carcere Mamertino: la leggenda vuole che le catene appena si toccarono si fusero e diventarono tutt'una.

Le Catene di San Paolo e quelle di San Pietro

L'altare con le catene di Pietro nella chiesa di San Pietro in Vincoli

L'interno di San Pietro in Vincoli è diviso in tre navate, separate da dieci colonne di marmo, per ciascun lato, con capitello dorico e base ionica mentre il soffitto della navata centrale, in legno a volta ribassata, è adornato da un affresco di Giovanni Battista Parodi.

L'affresco del Parodi

L'apostolo Pietro, il cui vero nome era Simone, ricevette da Gesù stesso il nome di Kefa, che in aramaico significa "roccia", "pietra", e che in greco suona Petros ed in latino Petrus. Anche san Paolo lo chiamava Kephas. La tomba di Pietro è stata rinvenuta in corrispondenza dell'altare della basilica vaticana durante scavi effettuati nelle "Grotte vaticane" a partire dal 1939; solo nel 1953 furono trovati dei resti umani, attribuiti all'apostolo dopo le concordanze di numerosi esami scientifici. Sulla sua tomba la tradizione cristiana ha espresso precedentemente versioni contrastanti, a causa delle traslazioni che tale tomba ha subìto nei primi due secoli prima di tornare alla posizione originaria. Secondo altre testimonianze la tomba di Pietro era "ad Catacumbas", presso l'attuale San Sebastiano. La più antica rappresentazione di San Pietro consiste in un medaglione di bronzo, datato tra la fine del II° secolo e l'inizio del III°, su cui sono raffigurate le teste degli apostoli e conservato nel museo della Libreria Vaticana: Pietro mostra una testa arrotondata con il mento prominente, la fronte sfuggente, i capelli ricci e la barba folta. La grande precisione del cameo fa pensare ad un vero e proprio ritratto dell'apostolo. In molti affreschi Pietro appare come intercessore e protettore dei defunti nel giudizio universale. Nelle numerosi rappresentazioni di Cristo insieme agli Apostoli, Pietro e Paolo occupano sempre i posti d'onore alla sua destra ed alla sua sinistra. Nel periodo tra il IV° ed il VI° secolo è particolarmente frequente l'immagine della "consegna della legge" a Pietro: Cristo consegna a Pietro una pergamenta aperta o arrotolata in cui spesso si trova la scritta "Lex Domini". Nel mausoleo di Costanza, a Roma, questa è affiancata alla raffigurazione della consegna delle tavole della legge a Mosè. Pietro, nelle raffigurazioni arcaiche, tiene spesso un bastone nella sua mano, sostituito successivamente da una croce, su di una lunga asta, trasportata sulla spalla. Nelle rappresentazioni dei sarcofagi del V° secolo Gesù porge a Pietro le chiavi (solitamente due, talvolta tre) invece della pergamena, mentre dalla fine del VI° secolo la rappresentazione con le chiavi diventa prevalente e queste diventano un suo caratteristico simbolo.
Pietro e Paolo furono imprigionati presso il Carcere Mamertino: la loro cella (l'unica riportata alla luce) è visibile al 2° piano seminterrato, ove vi è una pozza d'acqua nella quale, secondo la leggenda, i due apostoli battezzarono i fedeli cattolici compagni di cella. Nella stessa cella è stata realizzata una cappella. Dai primi scalini d'accesso al 2° piano, sul muro a destra, è visibile il punto dove i centurioni romani imponevano la loro forza per far confessare ai santi il loro credo cristiano, così come cita la vicina lapide.
San Pietro è considerato il santo patrono di fornai, costruttori di ponti, macellai, pescatori, mietitori, cordai, orologiai, fabbri, calzolai, tagliapietre, costruttori di reti da pesca e di navi; è anche il patrono della longevità e del papato ed è invocato per intercedere in caso di rabbia, problemi ai piedi e febbre. È anche e soprattutto il patrono della Chiesa universale, oltre che uno dei patroni dell’Italia, di Roma, e dell'Umbria.
Paolo di Tarso, il cui vero nome era Saulo è considerato da molti il più importante discepolo di Gesù, nonchè la più importante figura nello sviluppo del Cristianesimo. Rappresenta un grande esempio di fede, per la quale cambiò completamente la propria vita, in seguito ad un evento miracoloso come da lui stesso descritto, dedicandola esclusivamente alla diffusione del Vangelo di Gesù Cristo, per il quale testimoniò fino alla morte. Nacque a Tarso, in Turchia, tra il 5 e il 10 d.C. da una famiglia ebrea della diaspora. Essendo di tale città, aveva diritto di cittadinanza romana, come disposto prima da Marco Antonio e successivamente dall'imperatore Augusto. Crebbe sotto l’influsso della cultura ellenistica ma con una rigorosa educazione ebraica: parlava quindi perfettamente sia l’ebraico che il greco. Come tutti i veri ebrei imparò il mestiere del padre, cioè costruire tende. Da ragazzo aveva partecipato alla lapidazione di Santo Stefano: essendo ancora minorenne non poteva lanciare i sassi ma, pur di rendersi utile, si era offerto di custodire i mantelli di coloro che li tiravano. Dedicatosi allo studio della Legge Ebraica lo irritava il fatto che i cristiani, pur così poveri e deboli, si fossero conquistata grande fama per essere persone ricche di aiuto reciproco, fratellanza, ed amore verso i propri simili. Saputo che a Damasco c’era un covo di cristiani, si fece affidare una scorta armata per stanarli, ma sulla strada per Damasco avvenne la sua conversione. Abbiamo tre descrizioni della conversione di Saulo; la prima, quella degli Atti degli Apostoli, ad opera di San Luca, e le altre due ad opera di Paolo medesimo. Secondo il suo stesso racconto, mentre a cavallo si recava a Damasco per arrestare i cristiani fuggiti da Gerusalemme, sarebbe caduto a terra accecato da una luce intensa, udendo la voce di Gesù che gli chiedeva il motivo della sua persecuzione. Da quel momento narra di essere rimasto cieco per tre giorni, senza mangiare e bere nulla, e di aver recuperato la vista solo dopo l'imposizione delle mani da parte di Ananìa, un cristiano inviato da Dio. Saulo interpretò l'evento prodigioso come una chiamata diretta a compiere la missione evangelica. Secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, comunque, Ananìa stesso gli comunicherà che lui è stato scelto da Dio per evangelizzare il mondo. Saulo vuole sapere tutto del Nazareno che gli è apparso e gli ha parlato: visto che Ananìa non è all’altezza, si rivolge direttamente a Pietro, poi ai fratelli, si reca poi nel deserto tornando, infine, a Gerusalemme. Ad un certo punto Saulo prende la decisione di abbandonare il suo nome ebraico, che evoca un grande re d’Israele, ed opta per un nome latino: Paolo. Ad Atene Paolo parla nella piazza dove soggiornano gli intellettuali più sapienti ed indica loro che la vera sapienza si avrà quando accetteranno Cristo. Ormai Paolo, detto "apostolo delle genti", è una "mina vagante" per i vecchi ebrei, che usano il potere costituito a loro vantaggio: convincono il governatore romano ad imprigionare Paolo perché sovverte l’ordine pubblico. A dire il vero il governatore romano non riscontra niente di male nelle affermazioni di Paolo ma ha paura di eventuali ritorsioni e delle noie con i suoi superiori e fa imprigionare Paolo che, nella sua qualità di cittadino romano, si appella al giudizio dell'imperatore Nerone («Civis romanus sum. Cesarem appello!»): essendo un cittadino romano può essere giudicato solo nell’Urbe. Egli stesso, nel 57, aveva definito l'imperatore "autorità istituita da Dio", raccomandandone l'obbedienza ai cristiani. Paolo viene imbarcato per Roma, incatenato al centurione Giulio; in attesa del giudizio imperiale viene posto agli "arresti domiciliari" ma approfitta della legislazione romana, che è estremamente liberale e gli concede di affittare un alloggio, pur rimanendo costantemente sorvegliato da un soldato romano. Non sappiamo niente del periodo romano e non sappiamo quanti romani abbiano scelto di passare al cristianesimo per merito delle sue parole, ma sappiamo che Paolo, dopo essere stato assolto nel processo del 62, muore decapitato sotto la persecuzione di Nerone nel 67, dopo due anni di prigionia.
La conversione di Saulo è testimoniata anche da splendidi dipinti ed è curioso notare che, forse, i due più famosi sono opera dello stesso autore: Michelangelo Merisi da Caravaggio.
La Conversione di Saulo è un dipinto ad olio su tela di cm 230 x 175 realizzato tra il 1600 ed il 1601 dal Caravaggio su richiesta di monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere generale di Clemente VIII°, che aveva commissionato ai due pittori più famosi attivi in Roma a quei tempi la decorazione della cappella appena acquistata nella chiesa di Santa Maria del Popolo. Caravaggio esegue la Conversione di Saulo e la Crocifissione di San Pietro, Annibale Carracci dipinge l'Assunzione della Vergine. La prima versione dei due dipinti di Caravaggio, eseguiti su tavole di cipresso, viene rifiutata, a causa della loro eccessiva sfrontatezza, dai rettori dell'Ospedale della Consolazione, nominati eredi dal Cerasi nel frattempo deceduto: il pittore eseguì allora, di entrambe, una seconda versione su tela, caratterizzata da maggiore pacatezza... il che le fece risultare molto apprezzate. Delle prime versioni dei quadri è rimasta la Conversione di Saulo, ora nella collezione Odescalchi-Balbi (mentre quello che può essere considerato il “secondo originale” è appunto ammirabile nella Cappella Cerasi nella chiesa di Santa Maria del Popolo): nel dipinto originario Paolo, con il capo reclinato all'indietro, mostra il volto terrorizzato allo spettatore mentre nella versione definitiva, caduto da cavallo, alza le braccia verso la luce divina che lo investe, con un’espressione serena e attenta, mentre il palafreniere osserva la scena bloccando il cavallo; per quanto concerne l’altro soggetto ne è stato rinvenuto un originario schizzo (grazie a recenti studi radiografici) sotto il definitivo.

La Conversione di Saulo, del Caravaggio, nella cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo

La "prima" Conversione di Saulo, ora nella collezione Odescalchi-Balbi


2 commenti:

rosso fragola ha detto...

l'affresco delParodi,le tele del Caravaggio...Passare daltuo blog è sempre un vero piacere :-))

a presto Jajo!!!

JAJO ha detto...

A tu sei sempre la benvenuta Fragolina :-D

A me piace da morire Michelangelo (a breve pubblicherò un post su di lui e su Giulio II°) e la tomba di Giulio II°, con il Mosè, è seconda soltanto alla Pietà.

Ciaoooo