28 aprile 2008

I FOTOREPORTER DI ROMA ANTICA: BARTOLOMEO PINELLI

Fino a tutto il diciannovesimo secolo i viaggiatori che arrivavano a Roma, per lo più in carrozza o a dorso di mulo, erano irrimediabilmente colpiti dal fascino della campagna che circondava la città. Il percorso "via terra" era sicuramente più piacevole dal punto di vista paesaggistico rispetto a quello "via mare", oltre che più breve e confortevole.

Eugene Verboerkhoven: “Paesaggio con asino, capra e pecora

La campagna, piena di ruderi antichi e reperti archeologici, gli acquedotti ed i monumenti funerari di epoca romana su tutti, accompagnava il viaggiatore fin dentro la cinta muraria della città; e tutt’oggi, anche nel centro storico, Roma è piena di ampi spazi verdi. Il prosieguo della campagna entro il perimetro urbano era una delle molte componenti che concorrevano a creare il fascino e l’unicità di Roma ed il connubio “verde-ruderi-area abitata” si riscontra benissimo soprattutto negli splendidi acquerelli di Ettore Roesler Franz, come in quelli di molti altri pittori del periodo anche precedente il suo .

Salomon Corrodi: "Roma da Monte Mario"

Salomon Corrodi: "Roma da Monte Mario"

Le ampie aree verdi urbane erano veri e proprio squarci di campagna, per non citare poi i meravigliosi giardini ed i parchi delle numerose ville urbane di proprietà delle famiglie nobiliari, colme di vegetazione e di antichi reperti. La campagna di Roma aveva dei caratteri peculiari, in grado di colpire profondamente soprattutto gli stranieri, abituati a ben altri colori e panorami e, per questo, rimaneva facilmente impressa nella loro memoria. Soprattutto dal Settecento, complici l’attrazione per gli scenari agresti ed il fascino delle antiche rovine di epoca romana, la campagna intorno a Roma attrasse decine di pittori da tutta Europa: la Campagna Romana assurse al ruolo di terra prediletta soprattutto da parte dei pittori del centro e del nord Europa, sorretti dal devoto, quasi religioso, sentimento della natura.

Charles Coleman: "Carro con mietitori"

La Campagna Romana, con i suoi acquitrini, i resti degli acquedotti romani e di antiche costruzioni, i cieli ed i giochi di luce all’alba ed al tramonto, fu un’ottima scuola d’arte per i pittori perché favorì lo studio dei colori e lo sviluppo della prospettiva. Cosicché, per oltre un secolo e mezzo essa costituì quasi una “corrente pittorica”, fenomeno che acquisterà dimensioni massicce tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. In questo vero e proprio ciclo pittorico emerse Jean-Baptiste Camille Corot, i cui rivoluzionari “studi” sono tra i contributi più significativi. Altri pittori importanti in questo campo furono Ippolito Caffi, Vincenzo Morani, Salomon Corrodi e Teodor Aerni.

Teodor Aerni: Girandola a Castel Sant'Angelo

Charles Coleman si distingue in questo periodo per un grande album “in-folio”, pubblicato a Roma nel 1850: nelle cinquantatre acqueforti che compongono l’album (anche se altre con gli stessi soggetti non vi sono comprese) attua la fusione tra paesaggio pittorico e mondo della campagna con i suoi abitanti: gli animali, gli uomini, le loro attività quotidiane. Un mondo che egli coglie alla perfezione nella sua intima serenità.
Tornando ad Ettore Roesler Franz, sicuramente il maggiore degli esponenti di questa “scuola romana”, si può dire che diversi fattori lo portarono a riprodurre (spesso dopo averle fotografate personalmente ed avendo preso decine di annotazioni su bozzetti eseguiti per meglio “ricordare” i giochi di luce o le attività che venivano svolte in quei luoghi nelle varie ore della giornata) ben oltre 120 vedute della Roma che di lì a poco sarebbe scomparsa a causa dell’attuazione del Piano Regolatore: tra questi, principalmente, il grande amore per la sua città e l’influenza degli studi di Architettura svolti presso l’Accademia di San Luca. Roesler Franz era ben cosciente che il Piano Regolatore, una volta approvato, avrebbe avviato demolizioni di scorci ed angoli, oltre che di opere anche di notevole valore artistico, della sua città, che in seguito nessuno avrebbe più potuto ammirare. Questa consapevolezza, l’amore nutrito per quei luoghi e per quelle scene di quotidianità, traspaiono nei suoi quadri e negli schizzi colmi appunto di annotazioni. Gli studi svolti presso l’Accademia di San Luca sono testimoniati dalla estrema fedeltà e precisione nel riprodurre gli edifici nella struttura e nei particolari architettonici, nei materiali impiegati, fin nei dettagli, così come perfette solo le raffigurazioni del popolo romano, nei vestiti e nei movimenti, o la descrizione dei giochi di luce tra le fronde degli alberi, nei riflessi del Tevere o, addirittura, in un particolare architettonico che si specchia in una pozzanghera.


Ettore Roesler Franz: "Scorcio di Borgo e il Passetto"

Il grande merito di Roesler Franz consiste anche nell’aver intrapreso una personale lotta contro il tempo e contro i “demolitori”, facendoci pervenire schizzi ed immagini di una Roma a misura d’uomo che non esiste più, con i suoi giochi di luci ed ombre, le sue sensazioni, i riflessi di sole sul selciato talvolta viscido per la pioggia, i colori delle verdure su un banchetto di vendita… Roesler Franz aveva anche progettato un piano di presentazione delle sue tele esponendolo in un “Memorandum”del 1894: egli prospettava l’ipotesi di produrre una seconda serie della Roma sparita di ben 120 acquarelli, nel quale precisa però alcune condizioni essenziali per la presentazione delle suddette tele all'interno di un ideale museo: “…la collezione dovrebbe essere disposta in una grande sala con una grande carta topografica della Vecchia Roma in cui io indicherei i punti ove le vedute sono state allora riprese. Ciò aiuterebbe gli studenti delle future generazioni a capire l’aspetto di Roma prima degli attuali mutamenti…”. L’attenzione dell’artista è rivolta innanzitutto al Tevere, il cui scenario andava in quegli anni cambiando velocemente con la demolizione di edifici fatiscenti, dalla passeggiata di Ripetta alla “Ripa giudea”, di fronte all’isola Tiberina: in taluni disegni è indicata l’ora, quasi sempre molto mattutina, in cui lo schizzo fu eseguito e sulla carta sono annotati con cura minuziosa i colori delle varie componenti dei disegni, di cui avrebbe tenuto conto nella esecuzione definitiva. Un particolare interesse rivestono anche scene e scorci del ghetto, prima che il carattere medioevale ne venisse cancellato dal cosiddetto “risanamento”, eufemismo che ne indicò la pura e semplice demolizione indiscriminata: i colpi dei picconi sulle pietre ricordavano al pittore “il suono della campana a morto”! Tutta la sua opera ed il suo epistolario, che comprende lettere all’unico suo allievo, Adolfo Scalpelli, testimoniano un grande amore per la natura, l’arte e la "città/paese", di cui avvertì il fascino come pochi altri. La sua figura resta quella di un artista consapevole dei suoi doveri verso la società, che concepì il suo lavoro come un’autentica missione: la sua opera è infatti la testimonianza di un momento ben definibile della storia di Roma ed un validissimo contributo di testimonianze destinate alle generazioni future, private di tanta bellezza.

Antoine Jean Baptiste Thomas: Donna di Albano con costume paesano

Un altro validissimo artista che, insieme a Roesler Franz e Jean Baptiste Thomas, ci ha tramandato con le sue incisioni scene di vita di una Roma oramai scomparsa, è Bartolomeo Pinelli, soprannominato “er pittor de Trastevere”. Giuseppe Gioachino Belli, insieme a Trilussa (e, forse, più di lui) il maggior poeta romanesco, lo ricorda così, in un sonetto del 9 Aprile 1835, pochi giorni dopo la sua morte:


La morte der zor Meo

Sì, quello che portava li capelli
giù p'er grugno e la mosca ar barbozzale, (1)

er pittor de Trestevere, Pinelli, (2)
è crepato pe causa d'un bucale (3).


V'abbasti questo, ch'er dottor Mucchielli, (4)
vista ch'ebbe la merda in ner pitale,

cominciò a storce (5) e a masticalla male, (6)
eppoi disse: "Intimate li Fratelli. (7)"


Che aveva da lassà? Pe fà bisboccia (8)
ner Gabbionaccio (9) de padron Torrone, (10)
è morto co tre pavoli in zaccoccia. (11)

E l'anima? Era già scommunicato, (12)
ha chiuso l'occhi senza confessione...(13)
Che ne dite? Se (14) sarà sarvato?

1 Mento 2 Bartolomeo Pinelli, nativo di Trastevere, incisore, pittore e scultore, morì il primo giorno di aprile 1835, nella età di anni cinquantaquattro. Nella sera precedente, aveva presa all'osteria la sua ultima ubbriacatura. 3 Boccale. [di vino] 4 Alcuni del popolo credono che il medico di Pinelli fosse costui, noto in sua gioventù per poesie romanesche che andava recitando per gli spedali in occasione di pubbliche dimostrazioni anatomiche degli studenti di chirurgia: ma fu realmente un dottor Gregorio Riccardi. 5 A torcere il grifo in aria di dubitazione. 6 Masticarla male, in senso di "presagire male." 7 Coloro che convogliano i morti alla sepoltura. 8 Per far tempone. 9 Il Gabbione, nome della osteria dove il Pinelli consumava tutti i suoi guadagni mangiando e bevendo e dando a bere e mangiare. Havvi sù la insegna di una gabbia con merlo. 10 Torrone, nome dell'oste. 11 Circostanza storica. Il funerale fu fatto con largizioni spontanee di alcuni ammiratori della di lui eccellenza nell'arte. Molti artisti, vestiti a lutto, e quali con torchi, quali con ramuscelli di cipresso in mano, lo accompagnarono alla tomba nella chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi. 12 Nel giorno di san Bartolomeo dell'anno 1834, il nome del nostro Bartolomeo Pinelli fu pubblicato in S. Bartolomeo all'Isola Tiberina sulla lista degli interdetti per inadempimento al precetto pasquale. Avendovi egli letto essergli attribuita la qualifica di miniatore, andò in sacristia ad avvertire che Bartolomeo Pinelli era incisore, onde si correggesse l'equivoco sull'identità della persona. 13 Alla intimazione de' sacramenti, volle l'infermo essere lasciato per qualche ora in pace, per riflettere, come egli disse, ai casi suoi. Il parroco lo compiacque, ma ritornato al letto di lui lo trovò in agonia! Si narra però che il moribondo corrispondesse ad una stretta di mano del prete. Questa circostanza deve aver fruttato al corpo la sepoltura ecclesiastica e all'anima la gloria del paradiso. 14 Si.
Pavoli. Il paolo era pari a mezza lira romana.

Bartolomeo Pinelli (1781-1835) era figlio di un "vascellaro" trasteverino (cioè di un vasaio modellatore di statue devozionali), e già da bambino diede prova di talento modellando la creta nella bottega paterna. Si formò prima a Bologna a poi all'Accademia di San Luca a Roma. Presto le sue sculture e i suoi disegni divennero ricercati dai collezionisti dell'epoca. Da bravo artista aveva le sue bizzarrie personali: girovagando per Roma, sempre in compagnia di due grossi cani (vi si ritrasse anche in diverse tavole), faceva scherzi pesanti e, la sera, quando non sapeva come passare il tempo, si acquattava dietro un balconcino di casa con in mano una lenza provvista di amo e con questa tirava via le parrucche ai passanti. Inutili le imprecazioni delle vittime: dal basso non si vedevano che finestre chiuse. Un altro aneddoto che lo riguarda, da buon Trasteverino, fece scalpore: un piano sotto la casa di Pinelli abitava un violinista che provava per ore ed ore. Bartolomeo, o "Mineo" come lo chiamavano tutti, raggiunto il limite della sopportazione bussò alla porta del musicista chiedendogli di smettere di suonare, ma quello rispose: "Sto a casa mia e faccio er commido mio". Per vendetta, allora, sgombrò per intero la stanza sopra quella dove il suonatore provava, la riempì di acqua si mise a "pescare". Quando sul violinista cominciò a piovere acqua dal soffitto si precipitò urlando al piano di sopra, ma il pittore lo guardò e rispose senza scomporsi: "Sto a casa mia e vojo pescà quanto me pare".

Follie a parte Pinelli ci ha trasmesso, con le sue innumerevoli tavole, le immagini della quotidianità di una Roma perfettamente fusa con il suo passato storico e le sue tradizioni popolari. Le sue opere, infatti, raffigurano la quotidianità del popolo romano, soprattutto nei suoi momenti di intimità familiare o di svago, ma anche la sua nostalgia per la Roma imperiale, con i suoi ruderi a far da scenario. Nel 1809 pubblicò una “Raccolta di cinquanta costumi pittoreschi incisi all’acqua forte”, in cui rappresentò vari costumi romani e laziali, come dicono i titoli delle stampe: “la vendemmia”, “il saltarello”, “il gioco di mora”, “lite di Trasteverini”, “li pifferari” ecc... Tra i costumi delle popolazioni della Campagna Romana di particolare interesse ed attrattiva sono quelli dei paesi di Frascati, Albano, Nettuno, Tivoli e Cervara. Del 1810 è una “Nuova raccolta di cinquanta motivi pittoreschi e Costumi di Roma”,


anche in questa sono ritratti abiti e costumi tradizionali. Del 1819 è la “Raccolta de’ Costumi di Roma e suoi contorni. Primi pensieri di Bartolomeo Pinelli da lui inventati ed incisi nell’anno 1815 e pubblicati ora per la prima volta dedicati al sig. Cavaliere Alessio Francesco Artaud”. Nel 1822, in 25 tavole, uscite con il nome di ”Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli”, rappresentò le varie feste romane, i giochi più in voga nella Roma papalina e scene della vita contadina. Nel 1823 pubblicò la “Nuova Raccolta di Cinquanta Costumi de’ contorni di Roma, compresi diversi fatti di briganti disegnati ed incisi all’acqua forte da Bartolomeo Pinelli cominciata l’anno 1819 compiuti nel 1822”. Nel 1831, infine, ripropose in 56 tavole i “Costumi di Roma incisi da Bartolomeo Pinelli romano”.

Bartolomeo Pinelli: Autoritratto per frontespizio di una sua pubblicazione

A questo proposito, di tutta l’opera di Bartolomeo Pinelli, il contemporaneo Oreste Raggi ebbe a scrivere: “Sono i costumi importantissimi per le istorie de’ popoli e valgono a mostrare ai posteri, i riti, le feste, i giuochi, non che le fogge di vestire, le maniere tutte di pubblico e privato vivere e il grado della civiltà loro. Nella nostra Italia ne ha di bellissimi e segnatamente nei paesi non lungi da Roma, come sono Albano, Tivoli, Nettuno, Sonnino ed altri (..). Il nostro Pinelli adunque in ritrarre simili costumi per naturalezza e semplicità fu sommo e non ebbe né avrà forse mai chi in ciò lo pareggi”. Come sopra accennato la Roma classica, con i suoi ruderi imperiali, il Foro Romano, il Colosseo, fa da sfondo alle scene nelle quali si muovono i personaggi popolari contemporanei dell’artista: questo crea un effetto particolare a chi ammira quelle figure vive, a volte fin troppo, muoversi in scenari apparentemente fermi nel tempo. Quei popolani erano infatti, come il Pinelli stesso, orgogliosi della loro origine e lui si recava a Campo Vaccino per incontrarli ed assurgerli a suoi “modelli”: i popolani di Trastevere, di Monti, della Regola, erano popolani dall’aspetto particolarmente fiero, austero, spesso indisponente e gli artisti stranieri li elessero a modelli per le loro tele (in particolare, proprio per la bellezza delle proprie donne, divenne famoso un piccolo paesino della Ciociaria, Anticoli Corrado, le cui donne, per tutto l’Ottocento, fecero da modelle a pittori e scultori. Nella prima metà dell’800 Anticoli venne "scoperto" dai pittori arrivati a Roma dall’Europa settentrionale i quali, alla ricerca di paesaggi e di atmosfere, si inoltrarono nella campagna romana ed affittarono in paese vecchie stalle trasformandole in studi d'arte. Ancora nel 1935 un censimento ne contava ben 55. La forte presenza di artisti portò al consolidamento dei rapporti tra questi ed i contadini, frequenti furono i matrimoni con le giovani donne che si prestarono come modelle. Tra i primi ad arrivare ad Anticoli sono Ernst Stuckelberg, di Basilea, che nel 1858 vi si stabilì per alcuni mesi; i pittori danesi Niels Andreas Bredal, Oluf Kristian Host e Carl Otto Haslund. Tra i primi artisti italiani sono Augusto Corelli, Augusto Bompiani, Carlo Randanini, Alessandro Morani, Nino Costa e probabilmente Jean–Baptiste–Camille Corot, autore di "Agostina" nel 1886, opera conservata alla National Gallery di Washington ispirata probabilmente a una giovane donna di Anticoli. Ed ancora Mariano Barbasàn Laguerela, spagnolo di Saragozza che dipinse ad Anticoli per circa 40 anni prima di tornare nella città natale, ma solo dopo aver sposato la modella di Saracinesco Rosa Lucaferri. Augusto Luiz de Freitas, brasiliano di origine portoghese, visse ad Anticoli con la moglie e le figlie per un lunghissimo periodo, interrotto solo da spostamenti temporanei a Roma o in patria, lasciando centinaia di opere che rappresentano scorci e scene di vita anticolane. Alla fine dell’800 scoprono Anticoli anche Adolfo De Carolis e Giulio Aristide Sartorio. Il primo, pittore e xilografo marchigiano, sposò nel 1902 a Firenze, dove era insegnante all’Accademia di Belle Arti, Quintilina (Lina) Ciucci, un’anticolana conosciuta a Roma. Sartorio tornerà sul finire del 1918 per girare la scena finale del film "Il mistero di Galatea", da lui scritto diretto e interpretato e nel quale utilizza abitanti del luogo come attori.
Tornando al Pinelli, teneva moltissimo ad autodefinirsi “romano” (il termine è infatti da lui stesso usato nella raccolta del 1831), ma ancor più teneva al nomignolo che si portò dietro per tutta la vita: “er pittor de Trastevere”. Trastevere, popolare rione sulla sponda destra del fiume, zona nella quale originariamente venivano “emarginati” i delinquenti e gli ex galeotti, era il rione più “romano” di tutti i quattordici vecchi rioni di Roma, popolato da gente di una razza boriosa, superba, violenta ma al tempo stesso dagli ideali fortemente cavallereschi, che tuttavia non disdegnava di ricorrere quasi quotidianamente al coltello a serramanico per dirimere questioni e screzi. Ed in effetti i “Trasteverini”, da sempre in acerrima competizione soprattutto con i “dirimpettai Monticiani”, erano “afflitti” da un complesso di superiorità nei confronti degli abitanti degli altri rioni. La popolazione era “poco edita a mestieri che limitassero comunque la sua libertà: i più erano carrettieri a vino, facchini, scalpellini, piccoli mercanti e portavano costumi dai vivaci colori, alti cappelli adorni di nastri, giacchette di velluto. Intorno ai fianchi una larga fascia rossa, in cui era infilato il coltello”. Nel novembre 1781 Napoleone stava invadendo l’Italia facendo man bassa di opere d’arte inestimabili e di oggetti preziosi dei palazzi nobiliari, dei musei e delle gallerie, sequestrando, con la scusa di fare il repulisti dei luoghi di clausura e liberare i reclusi e le recluse volontarie, i beni ed i tesori dei conventi e dei santuari. Da una dittatura di preti, peraltro corrotta e tollerante, si stava passando alla dittatura francese, rivoluzionaria a casa sua e reazionaria nei territori occupati. Anche i liberali ed i borghesi romani, che avevano aderito entusiasticamente agli ideali francesi, si sarebbero poi ricreduti sulla “rivoluzione francese”, delusi dalle ruberie e dalle prepotenze delle truppe dell’occupazione. Proprio dal tipo del soldataccio francese, spaccone e prepotente, nasceva in quel periodo a Roma la maschera di Rugantino, vestito da militare francese, con il cappello a tre punte, alla napoleonica; un’evidente caricatura dell’invasore d’oltralpe: millantatore, grande eroe a parole, ma pusillanime e vigliacco ai fatti. Proprio per sfuggire a questa situazione Pinelli visse due mesi nella capanna di una bella contadina, a contatto con la dura ma rilassante realtà dei rozzi pastori della Campagna Romana, spesso alleati ed in combutta con i briganti che allora infestavano i dintorni di Roma. Pinelli prese a documentare dal vivo, come un fotoreporter appassionato e scrupoloso, le vedute campestri, i costumi popolari, gli appassionanti scenari della Campagna Romana, allora tappa obbligata degli artisti stranieri in visita o in soggiorno di studio a Roma per un’insostituibile ricerca di ispirazione artistica, secondo l’imperante ideale romantico. Fu quella, per lui, un’esperienza fondamentale, poichè da allora s’interessò appassionatamente della Campagna Romana, tanto che partiva spesso da Roma, da solo o in compagnia dell’amico Kaiserman, per documentare i vari aspetti della vita popolare nei suggestivi paesi circostanti: dal Viterbese ai Castelli Romani, da Tivoli a Sonnino, da Frascati ad Albano, da Chieti alla Ciociaria. Del 1811 è “L’Eneide di Virgilio, tradotta da Clemente Bondi, inventata ed incisa all’acquaforte da Bartolomeo Pinelli Romano”; nel 1812 l’“Istoria generale dei popoli della Grecia”, di Maria Fulvia Bertocchi. In tutte queste raccolte di illustrazioni, Pinelli non mancava mai di inserire il suo autoritratto, almeno nel frontespizio. Così il frontespizio calcografico figurato della “Nuova Raccolta di cinquanta motivi pittoreschi/e costumi di Roma, incisa all’acquaforte da/Bartolomeo Pinelli romano/In Roma 1810/Presso Lorenzo Lazzari alle Convertite n.180”, riporta il suo autoritratto di tre quarti, ammantato, con il toccalapis nella destra.

Bartolomeo Pinelli: Autoritratto campagnolo

Dove il narcisismo di Pinelli superò se stesso fu nelle tavole de “La Divina Commedia” (1825), dove impersona perfino uno dei protagonisti descritti da Dante. Nel 1816 realizza le illustrazioni per la "Storia Romana" e nel 1821 quelle per la "Storia Greca". Tra il 1822 e il 1823 realizza le cinquantadue tavole per il "Meo Patacca". Morì povero il 1 aprile del 1835 ed il luogo in cui venne sepolto rimane avvolto dal mistero: si ritiene infatti che le sue spoglie siano state imbalsamate ed inumate nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasia in piazza di Trevi. Ma nessuna lapide identifica la salma, per cui è probabile che i resti del pittore siano stati gettati in qualche fossa comune dopo le esequie, dato che Pinelli era ritenuto un laico impenitente, dunque indegno di giacere - per dirla con Belli - accanto alle "frattaje de li papi". La sua opera può essere ammirata quasi per intero al Museo di Roma in Trastevere ed a Palazzo Braschi.

2 commenti:

Mammazan ha detto...

Ciao
vuoi passare da me?
C'è una sorpresa!!
Grazia

Mammazan ha detto...

Ciao!!!Sono venuta a trovarti sul tuo blog.
Ora sono di fretta e torno dopo a leggere, perchè un post come il tuo va "consultato" con attenzione.
Un pò mi vergogno ma sono le 13.30 e devo ancora mangiare un boccone.
Ma.... volevo ringraziarti per il tuo invito che mi interessa molto.
A presto...dammi solo un momento
Ciao
Grazia