Un altro angolo di Roma in cui è sempre piacevole passeggiare è il Ghetto Ebraico: nel vero e proprio labirinto di stradine che ne compongono la ragnatela, la vista si apre improvvisamente su luoghi che non ti aspetteresti di vedere e su quella che, forse, rimane l'ultima "autentica" Roma.
La presenza Ebraica a Roma risale al I° secolo e dal 1309 si hanno i primi riscontri di una vera a propria "Contrada Judaeorum"; nel 1492, poi, a causa di un consistente esodo da Spagna e Portogallo, la colonia divenne, per i tempi, imponente.
L’area del Ghetto è posta a ridosso del Teatro di Marcello, tra il Rione di Trastevere e Largo dell’Argentina. I suoi “confini” stabiliti da Papa Paolo IV° Carafa con la bolla "Cum nimis absurdum" nel 1555 ed edificati ad opera di Silvestro Peruzzi ("ovviamente", come da tradizione, relativa spesa di 300 scudi venne addossata alla stessa comunità ebraica), all'interno di essi, gli ebrei vennero rinchiusi fino a quando Roma non divenne capitale d'Italia.
Il Ghetto, racchiuso nelle mura che andavano da Ponte Fabricio al Portico d'Ottavia, fiancheggiando il Teatro di Marcello e proseguendo poi, passando per Piazza Giudea, fino a Vicolo de' Cenci, aveva al tempo due accessi (tre a partire dal 1577: uno in Piazza Giudea, uno a Sant'Angelo in Pescheria - tra il Portico d'Ottavia e il Teatro Marcello - ed il terzo addossato alla chiesetta di San Gregorio della Divina Pietà), che venivano sbarrati e sorvegliati al tramonto ed agli Ebrei era vietata la pratica delle attività economiche e professionali di rilevante importanza. Papa Sisto V° alleggerì i controlli ed ampliò i confini del Ghetto, che arrivarono a comprendere Piazza Giudea (oggi Piazza delle Cinque Scole, dal nome delle cinque scuole giudaiche: del Tempio, Catalana, Castigliana, Siciliana e la Scola Nova), Via del Portico d'Ottavia e la sponda del Tevere, dove erano allocate le famiglie più indigenti (che ad ogni piena del fiume venivano praticamente sommerse), aumentando anche il numero degli accessi a cinque (altri due in Via della Fiumara).
Il quartiere all'epoca di papa Paolo IV° contava 1750 persone ma nel corso dei secoli arrivò a contenerne quasi 5000 (in meno di tre ettari di territorio), quindi con condizioni igieniche e di ordine pubblico fortemente allarmanti. Il territorio del Ghetto venne ulteriormente ampliato da papa Leone XII°, agli inizi del 1800, comprendendo anche Via della Reginella e Via della Pescheria, con conseguente aumento degli accessi a otto.
L’abbattimento del muro di delimitazione del Ghetto avvenne nel 1848, sotto Pio IX°, quando il Ghetto venne definitivamente riaperto, grazie anche alla pressione esercitata dal patriota popolare Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio.
La maggior parte della popolazione ebraica di Roma, legata da forti tradizioni, scelse però di continuare a risiedere prevalentemente nella zona del vecchio Ghetto.
Uno degli "accessi" al Ghetto
A pochissimi metri dal Teatro di Marcello sono ancora oggi apprezzabili i resti del Portico d'Ottavia: i primi lavori di realizzazione del portico risalgono al II° secolo a. C. ma, in realtà, fu grazie ad Augusto che il complesso venne sviluppato dal 33 al 23 a.C. e, dallo stesso imperatore, dedicato a sua sorella Ottavia. In origine esso comprendeva due templi e le biblioteche greca e latina ed era ornato da ben trentaquattro statue equestri di bronzo che rappresentavano Alessandro e i suoi generali, opera del famoso scultore Lisippo, ma fu anche il luogo dove venne esposta la statua di bronzo raffigurante Cornelia, la madre dei Gracchi, prima statua pubblica raffigurante una donna.
Il Portico fu anticamente un vero e proprio centro di aggregazione culturale ma, malgrado ciò, a partire dal X° secolo, il portico e gli archi del Teatro di Marcello divennero sede di attività commerciali e artigianali, che furono all'origine del trasferimento in questa zona degli ebrei, costretti, in epoca medievale, ad abbandonare l'impoverito rione Trastevere. Gli ebrei, infatti, si posero, in questa ristretta zona, sotto la protezione delle potenti famiglie romane dei Mattei, dei Cenci e dei Pierleoni, che qui edificarono diversi palazzi nobiliari.
Due dipinti del pittore romano Ettore Roesler Franz raffiguranti la vita nel Ghetto di Roma alla fine del 1800
In epoca recente il ghetto è stato teatro di uno dei più tristi avvenimenti della nostra storia: la notte del 16 ottobre del 1943 i nazisti rastrellarono e deportarono 1021 persone, bambini ed anziani compresi. Solo una quindicina di essi, tra cui una sola donna, fecero ritorno dai campi di sterminio.
Fuga di tetti e campanili al Portico d'Ottavia
La Sinagoga sul Lungotevere
Loggetta al Portico d'Ottavia
Il "Foro Piscario", il mercato del pesce dell'antica Roma
Scorci del Portico d'Ottavia
Una delle entrate (!!) della Chiesa di Santa Maria del Pianto
La caratteristica principale della Chiesa di Santa Maria del Pianto è quella di non aver praticamente... la facciata ! Come molte altre chiese e simulacri deve la sua costruzione al fatto miracoloso di un’immagine della Madonna che, di fronte ad un crudele delitto avvenuto nei pressi nel 1546, iniziò a lacrimare. Nel 1612, ad opera di Nicola Sebregondi iniziarono i lavori per la costruzione, sul luogo dove sorgeva una precedente chiesa dedicata a S. Andrea, della chiesa dedicata appunto alla vergine piangente. La facciata rimase incompiuta e l'accesso alla chiesa avviene lateralmente, da via del Pianto e da Via Santa Maria dei Calderari (la cosiddetta “Piazza Giudea”), proprio di fronte ad un meraviglioso quanto piccolo forno che produce dolciumi nello stretto rispetto della tradizione ebraica (mitica la torta "ricotta e visciole" o "ricotta e cioccolato"). L’interno della chiesa, paradossalmente di proporzioni abbastanza ampie, è a croce greca mentre la cupola è ottagonale con decorazioni a stucco. Sopra l’altare maggiore, tra quattro colonne di alabastro, si ammira un affresco del xv° secolo, che precedentemente si trovava su uno dei muri del Portico d’Ottavia, raffigurante la Madonna del Pianto.
Passeggiando per il Ghetto è impossibile non arrivare a Piazza Mattei: infatti uno dei cinque accessi al Ghetto era in Via della Reginella, che sbuca proprio in Piazza Mattei. I Mattei, come precedente detto, erano una delle famiglie più influenti e potenti della zona, tanto da detenere il "controllo" delle attività mercantili sul Tevere all'altezza dell'Isola Tiberina e sulla sponda sinistra del fiume. La potente famiglia aveva il proprio palazzo, edificato con largo uso di materiali sottratti all'antico Teatro di Balbo, proprio nella piazza che dalla famiglia prese il nome, e nella quale è possibile ancora oggi ammirare la splendida Fontana delle Tartarughe. La fontana venne commissionata a Giacomo della Porta da Muzio Mattei nel 1581: in origine, su decisione della Congregazione delle Fonti (che aveva la facoltà di decidere la creazione di nuove fontane), alimentata per mezzo dell'acquedotto Vergine, doveva essere edificata in Piazza Giudea, dov'era il mercato, ma proprio su pressione dei Mattei (impegnatisi a far pavimentare la "loro" piazza ed a tenere pulita la fontana) nei confronti della Congregazione, venne edificata davanti il portone del Palazzo Mattei. Il progetto originario, i cui lavori furono condotti da Taddeo Landini, doveva rappresentare quatro efebi e otto delfini in marmo e, successivamente, in bronzo. Per problemi dovuti alla pressione dell'acqua vennero realizzati soltanto quattro delfini e l'opera fu conclusa nel 1588. I quattro rimanenti delfini vennero utilizzati nella Fontana della Terrina, posta prima a Campo de Fiori ed ora davanti la Chiesa Nuova. La fontana, costituita da una vasca quadra dagli angoli smussati con al centro un basamento da cui si innalzano quattro conchiglie in marmo e sulle quali si ergono quattro efebi in bronzo (in posa uguale e simmetrica), ciascuno dei quali sorregge una tartaruga che sembra abbeverarsi alla vasca superiore della fontana.
Due curiosità sono legate alla fontana: la prima è che le tartarughe furono aggiunte nel corso di un restauro eseguito nel 1658 per volere di Papa Alessandro VII° e sarebbero attribuite a Gian Lorenzo Bernini o ad Andrea Sacchi; la seconda curiosità è legata all'immancabile leggenda popolare: si narra, infatti, che il duca Mattei, avendo perduto gran parte del suo patrimonio al gioco, volesse stupire il suo futuro suocero, che per questo motivo rifiutava di dargli in moglie la sua bella e ricca figlia. Fece quindi realizzare, in una sola notte, la fontana. Il giorno successivo, convocati a palazzo padre e figlia per un ulteriore tentativo di chiarimento, li fece affacciare ad una finestra da cui si poteva godere lo spettacolo della fontana perfettamente funzionante, dicendo loro: "Ecco che cosa è capace di realizzare in poche ore uno squattrinato Mattei!". Ovviamente il matrimonio venne celebrato ma perché nessuno potesse più godere di quella visuale "magica" il duca ordinò di murare la finestra. E così è rimasta fino ai nostri giorni. La realtà che “sbugiarda” la leggenda sta nel fatto che la fontana venne eseguita nel 1585 mentre palazzo Mattei fu costruito, su progetto di Carlo Maderno, solo nel 1616. Ma qui la leggenda da il suo “colpo di coda” e si arricchisce di un particolare: la fontana sarebbe stata in realtà realizzata per il giardino privato di un palazzo principesco ed il duca Mattei si sarebbe quindi limitato a chiederla in prestito. Il trasferimento provvisorio, divenuto poi per motivi sconosciuti definitivo, avvenne proprio in quella notte.
Nell'adiacente Via de' Funari (che deve il suo nome ai molti fabbricanti di funi che avevano bottega in questa strada) sorge il Palazzo Mattei di Giove nei cui due cortili interni si possono ancora oggi ammirare numerosi reperti marmorei di epoca romana.
Palazzo Mattei di Giove fa parte della cosiddetta "isola Mattei", insieme agli altri edifici di Giacomo Mattei, di Mattei di Paganica e di Alessandro Mattei, e fu costruito per volere di Asdrubale Mattei, duca di Monte Giove (da cui il nome del palazzo), al posto di alcune case di famiglia che furono demolite. I lavori iniziarono nel 1598 su progetto di Carlo Maderno e terminarono nel 1617, con la costruzione del braccio di collegamento dell'edificio con il palazzo di Alessandro Mattei. L'edificio di tre piani ha un duplice ingresso da due portali. Il primo cortile, progettato dal Maderno per contenere la collezione di marmi antichi del duca Mattei, ha le pareti interamente rivestite di frammenti antichi di varia natura (sarcofagi, rilievi, epigrafi, iscrizioni) tutti collocati dentro cornici di stucco. Il cortile è inoltre impreziosito dalla presenza di alcune statue romane che raffigurano personaggi maschili, creduti un tempo ritratti di imperatori romani. Le famose collezioni che un tempo riempivano il palazzo arricchiscono oggi molti musei e raccolte private in Italia e all'estero. Nel secondo cortile-giardino vi è una fontana, caratterizzata da un mascherone che getta acqua in un elegante sarcofago. Dopo l'estinzione della famiglia Mattei di Giove, avvenuta alla fine del Settecento, il palazzo venne ereditato dagli Antici Mattei, a seguito del matrimonio tra l'ultima Mattei, Marianna, e il marchese Carlo Teodoro Antici di Recanati, zio di Giacomo Leopardi: ed il poeta vi soggiornò, ospite, in una stanza del terzo piano. Dal 1938 il palazzo è di proprietà dello Stato ed attualmente vi ha sede il Centro italiano di studi americani, la Biblioteca e l'Istituto di storia moderna e contemporanea.
I cortili del Palazzo Mattei di Giove
4 commenti:
Complimenti davvero per il blog.
Mi chiamo Michelangelo, sono di Roma, anch'io appassionato ed orgoglioso della città più bella del mondo.
Se concordi, mi farebbe piacere linkare o fare riferimento ad alcuni post del tuo blog sul mio, da poco avviato, all'indirizzo:
www.micheblog.wordpress.com
Saluti.
Ciao Michelangelo, chiunque ami Roma è il benvenuto :-D
(con un nome come il tuo poi... :-D)
Nessun problema al "linkaggio"... anche io ti metto nei preferiti del mio altro blog Viaggi, cucina e io (in questo su Roma, niente di personale in generale, non li ho previsti :-D)
Ciaooo e buona avventura nel mondo dei blog (mi sembra che anche tu sia partito con il piede giusto :-D).
Jacopo
Scusami, ma leggo solo ora la tua risposta!
Procedo con il "linkaggio" magari dell'altro blog, visto che ultimamente sto spaziando molto su vino e cucina (ma io dove sono nell'altro blog...?).
Un saluto
Michelangelo
www.micheblog.wordpress.com
salve jajo,sono silvia detta jaja!Subito subito ti faccio i complimenti per il blog dal quale è evidentissimo il tuo amore per la nostra città che condivido in pieno,sono una che vagabonda gironzola struscia per piazze ,piazzette,vicoli e vicoletti.Mi diletto a scrivere di Roma e di chi vi ha soggiornato o vissuto su una rivista specializzata e adesso che ho trovato quest'accattivante angoletto mi vedrai passsare molto spesso...ave!
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