Nato a Roma (in Via dei Condotti) l'11 maggio 1845, da una famiglia di banchieri e diplomatici di origine tedesca (e non svizzera, come per diverso tempo si è erroneamente ritenuto), si è reso famoso per i suoi acquerelli dedicati alla Roma di fine '800. La sua famiglia, tanto famosa da essere citata anche dal Belli, fondò a Roma l'Hotel d'Allemagne, tra Piazza di Spagna e Via Condotti, albergo che ospitò i più famosi personaggi del periodo: da Stendhal a Wagner, da Goethe a De Lesseps (l'ideatore del Canale di Suez), dal fratello di Napoleone, Luciano, al romanziere Thackeray, all'archeologo Winckelmann.
Dopo aver compiuto gli studi nell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, al Collegio di Propaganda Fide ed all'Accademia di San Luca (dove studiò architettura), lavorò presso il Consolato Inglese come segretario e poi, fino ai 30 anni, nella banca di famiglia, fondata nel 1836 e gestita dal fratello Adolfo; la banca, con gli uffici in Via dei Condotti, fu attiva fino al 1936 e fu una delle maggiori banche private romane. Dal 1875 iniziò a dedicarsi esclusivamente alla pittura, fondando con Nazareno Cipriani la Società degli Acquerellisti di Roma, attiva fino al 1908, divenendone più volte presidente.
La cosa che forse colpisce maggiormente di Roesler Franz è come critici ed artisti lo elogiassero già all'epoca per il suo operato, considerandolo l’”ultima spiaggia” (insieme forse soltanto alle fotografie degli Archivi Alinari ed ai filmati dell'Istituto Luce) per significare ai posteri l’aspetto della Roma di fine ‘800, com’era prima degli smembramenti decisi dal piano regolatore del 1872, e come andava mutando per gli apportati ammodernamenti. In effetti la sua opera, pittorica e fotografica, è di interessantissimo valore documentario proprio per la testimonianza in tempo reale delle ristrutturazioni urbanistiche iniziate dopo il 1870 e per le attività quotidiane del popolo romano. Interessanti sono, infatti, le riproduzioni di scene di vita quotidiana, che ci mostrano Roma in fin dei conti ancora come una città-paese per l’abbigliamento, gli usi e, non da ultimo, per il fatto che luoghi ora di alto interesse artistico ed archeologico come i Fori Romani, San Giovanni e molti altri fossero ancora adibiti a pascolo per le greggi. Grande attenzione Roesler Franz dedicò alla campagna romana, alla Via Appia ma, soprattutto, al Tevere. Il fiume era, infatti, alla fine del XIX° secolo la più importante via di comunicazione attraverso la quale arrivava a Roma ogni tipo di merce: nei porti fluviali di Ripa Grande e di Ripetta approdavano infatti le merci provenienti dalla Sabina e dall'Umbria, come l'olio, il frumento o il vino; in particolare il porto di Ripa Grande era aperto ai grandi traffici del Mediterraneo. Il pesce fresco veniva portato dal Porto Boario al Portico d'Ottavia (più volte dettagliatamente raffigurato da Roesler Franz) per essere venduto al "cottìo", cioè all'ingrosso: la vendita si effettuava sotto forma di asta ed era tradizione della borghesia romana, nei giorni immediatamente precedenti il Natale, recarsi al mercato del pesce per assistere alle divertenti aste tenute dai popolani. Tali aste erano ritenute di gran divertimento dai nobili e dai borghesi romani poichè venivano usati dei termini gergali perlopiù incomprensibili a chi non fosse avvezzo alla frequentazione del mercato (venditori al minuto, cuochi delle famiglie nobili, osti e trattori): ad esempio la "paìna" era il prezzo complessivo del pesce acquistato da un venditore nel corso di una intera settimana mentre il termine "ingrandire uno" significava vendergli del pesce quasi avariato.
Come detto viaggiò molto ed in Inghilterra fu uno dei più apprezzati pittori italiani del periodo; parlava correntemente inglese, francese e tedesco ed espose più volte a Parigi, Londra, San Pietroburgo, Berlino, Dresda, Stoccarda, Monaco di Baviera e Vienna, nonché in Olanda e Belgio. Un suo acquarello si trova nel Museo "Art Gallery of New South Wales" di Sydney (Australia), mentre altri due acquarelli nel Museo di Southampton (Gran Bretagna).
La caratteristica, però, che lo rende forse unico è, come detto, la meticolosità, tanto che non si muoveva mai senza la sua macchina fotografica, con la quale immortalava tutti i particolari che riportava poi su tela, ed il libriccino, in cui segnava ogni più piccola curiosità che colpiva il suo sguardo: giochi di luce tra i rami, la diversità dei colori di uno stesso albero, le diverse sfumature del terreno... Per quanto riguarda i materiali, poi, era molto pignolo: carta, pennelli e colori e il relativo raccoglitore erano tutti di provenienza inglese e da lui personalmente scelti. Malgrado ciò, una volta, nei dintorni di Tivoli, dovette costruirsi un pennello con peli strappati dalla coda di un somaro e legati con uno spago. Il suo motto era “La sincerità fa l’artista grande” e lo si poteva leggere all’ingresso del suo studio privato di Piazza San Claudio 96, da dove si era trasferito dal precedente in Via del Bufalo 133 e che, con grande disponibilità, lasciava aperto a tutti, ogni giorno, dalle ore 14 al tramonto. Dipinse, nell’arco di 25 anni, 120 vedute dedicate a Roma (divise appunto in tre serie) e quasi tutte possono essere definite “pitture in tempo reale” poiché si recava nei luoghi che intendeva ritrarre pochi giorni prima dell’inizio dei lavori di smembramento e prendeva appunti su tinte, colori e particolari; faceva schizzi o scattava fotografie per poi scegliere il miglior angolo di visuale da riportare su tela. La sua è una straordinaria Roma fatta di scorci, panoramiche, angoli nascosti ma anche giardinetti, cortili, piazze: la Roma popolare e popolana delle insegne delle osterie, dei pergolati, del fiume, dei sampietrini e delle pozzanghere che riflettono il cielo azzurro… una città semplice ed a misura d’uomo (che sarebbe poi scomparsa quasi del tutto nel giro di un decennio). La seconda e la terza raccolta (1891) sono state da lui stesso intitolate “Roma Pittoresca” e vennero esposte con gran successo nel 1897, insieme ad altri acquerelli raffiguranti la campagna romana e Tivoli, città da lui molto amata (vi comprò anche casa) e della quale divenne cittadino onorario nel 1903 (onorificienza che ricambiò col il dono della tela “Ponte Lupo – Poli”, del 1898, attualmente affissa nello studio del Sindaco). I 40 acquerelli della seconda raccolta “Roma Pittoresca” sono così suddivisi: i primi tre sono degli scorci senza titolo, quelli dal 4 al 12 raffigurano il Tevere; dal 13 al 19 il Ghetto e il Portico d’Ottavia; dal 20 al 22 “Presso Piazza Montanara”; dal 23 al 31 “Transtevere”; dal 32 al 40 “Al di qua di Ponte Rotto”. A questi titoli, dati dal pittore stesso, seguono delle note: il segno * contrassegnava delle opere che raffiguravano soggetti in parte o completamente demoliti; il segno ** i soggetti di prossima demolizione: alla fine si può osservare che di 37 soggetti identificati nelle tele soltanto 4 sono sopravvissuti alle demolizioni di fine secolo o successive. Malgrado l’artista stesso auspicasse che “...la collezione dovrebbe essere posta in una sala speciale con una grande carta topografica della vecchia Roma in cui io darei indicazioni dei luoghi dove sono stati ripresi i quadri e questo faciliterebbe gli studiosi delle future generazioni nel capire quale era l'aspetto di Roma prima dei presenti mutamenti”. Purtroppo la raccolta non è completa perché dei 120 acquerelli acquistati dal Comune di Roma se ne è perso uno (quello raffigurante "Palazzo Mattei alla Lungaretta") a Colonia nel 1966 durante una mostra itinerante e da allora non è stato più ritrovato. La maggior parte delle opere, 93, sono custodite al Museo di Roma (Palazzo Braschi) in piazza San Pantaleo, mentre i rimanenti 26 acquarelli si trovano nel Museo di Roma in Trastevere (già Museo del Folklore) in piazza Sant'Egidio. La sua opera non è costituita di soli acquerelli (dipinse infatti anche diverse tele raffiguranti paesaggi degli Appennini Abruzzesi, di Ninfa, di Tivoli e della campagna romana) ma anche di alcuni olii, bozzetti a matita o tempere. Affermava, comunque, che l’acquerello fosse “...il mezzo più acconcio a riprodurre con verità le vedute campestri e specialmente le trasparenze dei cieli e delle acque”. Ebbe un unico allievo, il tiburtino Adolfo Scalpelli (che per testamento ereditò tutti i bozzetti, gli schizzi, i disegni, gli acquarelli non finiti dell'artista, nonché le sue foto, e che morì poi ad appena 29 anni nel 1917 combattendo sull'Altipiano della Bainsizza durante la prima guerra mondiale). Morì a Roma il 26 marzo del 1907.
Il Ghetto al Portico d'Ottavia
Stagni di Maccarese con due raccoglitori di fascine in primo piano sotto un albero
Veduta di CastelGandolfo
Lato inferiore di Villa d'Este con sullo sfondo due suore ed i Monti Cornicolani
Il Bosco Sacro della Ninfa Egeria dopo il temporale
Il Tevere nei pressi di Settebagni a Roma con la cupola di S.Pietro sullo sfondo
Barca sul Tevere dopo Ponte Milvio con la cupola di S.Pietro sullo sfondo
Case medioevali in Via di S.Bonosa attigue alla Torre degli Anguillara.
Sullo sfondo si nota la cupola di S.Carlo ai Catinari.
Via del Campanile in Borgo con il Campanile della Chiesa di S.Maria in Traspontina.
Sullo sfondo il Passetto di Borgo.
Bambini sotto un albero in riva al Tevere alla Salara dopo Ponte Rotto
E qualche fotografia...
Santa Bonosa
Ripa Grande